Il regime emergenziale in Italia si è concluso il 31 marzo 2024: le aziende non godono più delle semplificazioni allo smart working messe a disposizione a seguito della pandemia di Covid-19, che aveva imposto a aziende e lavoratori il lavoro da remoto nel rispetto dell’inevitabile isolamento domestico.
Si ritorna al remote working come regolamentato in precedenza dalla legge n. 81/2017, con accordi contrattuali specifici per ciascun lavoratore. Nonostante ciò, il grande cambiamento imposto dalla pandemia è piaciuto ad aziende e lavoratori che, nonostante la fine dell’emergenza, continuano a scegliere il lavoro agile: secondo l’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, nel 2024 si stima saranno 3,65 milioni gli smart worker in Italia. Il lavoro ibrido è quello che va per la maggiore: lo dice la Hays Italia Salary Guide 2024, che riporta che circa il 68% delle aziende intervistate ha adottato la formula ibrida, con una settimana lavorativa composta da alcuni giorni in presenza ed altri da remoto.
La diffusione del lavoro agile ed il lento adeguamento del CCNL alle nuove esigenze ha sollevato diversi interrogativi sui benefit che normalmente vengono riconosciuti ai lavoratori. L’erogazione dei buoni pasto durante il lavoro agile è certamente uno degli aspetti che ha generato e genera tuttora maggiore confusione. Proviamo dunque a fare un po’ di chiarezza.
Va subito precisato che il datore di lavoro non è obbligato a riconoscere il buono pasto al lavoratore in smart working. Ogni collaboratore ha diritto a svolgere la sua attività da remoto con lo stesso trattamento che gli viene riservato quando è impegnato in presenza nelle sedi aziendali, ma il buono pasto va considerato come un beneficio accessorio e non una forma di retribuzione per il lavoro svolto.
Negli ultimi tempi, con la diffusione dello smart working dovuta alla pandemia di Covid-19 e all’inevitabile isolamento domestico, sono stati sollevati diversi interrogativi sui benefit che normalmente vengono riconosciuti ai lavoratori. L’erogazione dei buoni pasto durante il lavoro agile è certamente uno degli aspetti che ha generato e genera tuttora maggiore confusione. Proviamo dunque a fare un po’ di chiarezza.
Va subito precisato che il datore di lavoro non è obbligato a riconoscere il buono pasto al lavoratore in smart working. Ogni collaboratore ha diritto a svolgere la sua attività da remoto con lo stesso trattamento che gli viene riservato quando è impegnato in presenza nelle sedi aziendali, ma il buono pasto va considerato come un beneficio accessorio e non una forma di retribuzione per il lavoro svolto.
Cosa dice la legge
È importante osservare cosa dicono le norme, a partire dalla legge 81/2017 riguardante la “tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale” e l’“articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, il cosiddetto “Jobs Act del lavoro autonomo”. Questo testo stabilisce che il lavoratore che svolge la prestazione in smart working ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le stesse mansioni all’interno dell’azienda.
È necessario comunque tener conto anche degli interventi della giurisprudenza. La legge 81 definisce lo smart working ma ne demanda la disciplina all’iniziativa sindacale e alle regolamentazioni aziendali. Va evidenziato che la Corte di Cassazione si è espressa più volte, sulla natura dei buoni pasti e sul loro inserimento nella retribuzione vera e propria.
È rilevante un’ordinanza del 2020 in cui la Cassazione afferma che, salvo differente previsione del CCNL (il contratto collettivo nazionale di lavoro) applicato in azienda, il buono pasto deve essere inteso come trattamento assistenziale e non retributivo. E proprio il riconoscimento di questa natura assistenziale che permette la discrezionalità nell’erogazione.
Cosa accade oggi
Dunque, allo stato attuale se un’azienda non eroga il benefit ai lavoratori in smart working non vìola alcuna disposizione, perché libera di scegliere. Se decide di continuare ad assicurare il buono pasto deve ovviamente rispettare le norme in vigore anche per i lavoratori attivi in presenza. Qualora il datore di lavoro voglia riconoscere il trattamento il controvalore sarà esente da imposizione fiscale e contributiva con gli stessi limiti previsti per i collaboratori presenti in ufficio.
Attualmente la poca chiarezza sui buoni pasto per i lavoratori in smart working è legata soprattutto al fatto che i contratti collettivi non intervengono sul punto. In effetti, in passato non si era mai fatto tanto ricorso al lavoro a distanza come negli ultimi mesi. La situazione è stata poi aggravata dalla notevole assenza di accordi individuali e di regolamenti aziendali volti a disciplinare l’impiego dei buoni pasto. Si fa quindi ricorso alla gerarchia delle fonti del diritto in materia di lavoro, una gerarchia che – come detto – vede la contrattazione collettiva, se presente, delineare il quadro generale. È comunque da ritenere probabile che in fase di rinnovo i contratti collettivi prevedano anche l’erogazione dei buoni pasto per chi opera in smartworking, per non creare un disallineamento di trattamento tra colleghi con lo stesso impiego.